«Uscire dalla logica del mero indennizzo, erogato per di più col contagocce, e compiere un salto di qualità verso un nuovo modello regionale che fornisca agli allevatori nuovi strumenti di incentivo alla difesa passiva e pratiche risarcitorie reali in termini di capi già in ciclo produttivo. Solo così la Regione può tutelare l’attività degli allevatori rispetto alle predazioni da parte di una specie protetta come il lupo. Altrimenti si va verso lo sgretolamento di un patrimonio zootecnico e rurale che per la Toscana è un fiore all’occhiello di tradizione e produttività»: a parlare così è il Capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale Maurizio Marchetti che già alcuni giorni fa, a seguito della vicenda di un allevatore della Amiata grossetana che ha chiuso i battenti dopo essersi visto decimare mandrie e greggi, ha presentato alla giunta toscana un’interrogazione per fare il punto sulle azioni intraprese dalla Regione e rilanciare con nuove proposte di intervento.
Adesso l’allarme che arriva dagli allevatori di Badia Tedalda – oggi l’allevatrice Rosa Tizzi ma via via il grido d’aiuto si leva da tutta la Valtiberina dove c’è chi si trova addirittura coi lupi nel giardino di casa – richiama l’attenzione di Marchetti: «Per gli allevatori la solidarietà e vicinanza non bastano più. Per questo ho scelto di passare dalle parole ai fatti studiando una formula nuova, che cambi l’approccio sin qui adottato dalla Regione che fa sentire gli allevatori soli dinanzi alla strage del loro bestiame. La Regione, infatti, al momento procede per indennizzi che arrivano tardivi, pochi, non sempre; che affliggono l’allevatore di burocrazie; soprattutto indennizzi che ripagano né il costo del capo ‘netto’, ma non l’investimento che su quel capo è stato fatto per portarlo a regime produttivo, né il mancato reddito di prospettiva che l’allevatore patisce dalla perdita di quell’animale».
E dunque, che fare? «Bisogna che la Regione compia un salto di qualità. Nel 2017 ha sollecitato il governo sul Piano Lupo. Ma il lupo è specie protetta da fior di progetti. Se poi anche così non fosse, si tratta di un predatore notturno difficile da intercettare. Resta poi tutto il fronte degli ibridi, su cui già si potrebbe intervenire perché loro protetti non sono. Ma insomma: qui si tratta di rendere specie protetta gli allevatori».
Strumenti? «Ce ne sono. Intanto si potrebbe iniziare incentivando la difesa passiva. Se la Toscana mal si presta, per estensione delle attività zootecniche, all’impiego di reti elettrificate, l’impiego di cani pastori maremmano abruzzesi può essere incentivato. Gli allevatori se ne dotano spesso, a loro carico, e talvolta non bastano. Ma questa protezione va incentivata e sostenuta. Così, tra l’altro, si valorizza anche un cane autoctono come il maremmano, con la filiera di allevatori che a sua volta porta con sé e che sono le ‘vestali’ di una linea da lavoro apprezzata in tutta Italia».
E poi il bestiame: «Anziché spendere per ripagare un capo, perché non si adotta la pratica avviata con successo in altre Regioni e nel Parco del Pollino? Lì si sono create mandrie e greggi ‘istituzionali’ con i quali si risarcisce l’allevatore anziché col prezzo di mercato di un capo ‘netto’, con un esemplare già in ciclo produttivo. Ci sono anche ‘cani da guardianìa del Parco’, e vengono ceduti agli allevatori in comodato d’uso gratuito. La Regione è titolare di fior di tenute. Si tratta di cambiare prospettiva. Ed è ciò che noi come Forza Italia puntiamo a fare. Adesso attendiamo risposta alla nostra interrogazione, poi procederemo con atti di indirizzo. Se poi nel 2020 i toscani ce lo consentiranno, ci penseremo noi a tutelare gli allevamenti, custodi di uno spicchio di patrimonio ambientale della Toscana».
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